Definizione e Storia dell’inquadramento nosografico della Eteroplasia Ossea Progressiva

L’Eteroplasia Ossea Progressiva (POH) è una rarissima malattia a trasmissione autosomica dominante che interessa la differenziazione delle cellule mesenchimali.

È caratterizzata da ossificazione eterotopica della cute e dei tessuti mesenchimali profondi con una tipica progressione dell’ossificazione dal derma e sottocute agli strati più profondi. Colpisce quindi fasce muscolari, muscoli, tendini e legamenti risultando infine una malattia notevolmente invalidante.

L’individuazione e l’inquadramento nosografico di questa malattia si è avuta nel 1994 ad opera del gruppo di Frederick S. Kaplan della Pennsylvania University di Philadelphia con la pubblicazione sul Journal of Bone and Joint Surgery di un lavoro su due casi di POH e il follow-up di tre casi già in precedenza pubblicati con diagnosi diversa e che invece, alla luce dell’inquadramento che veniva effettuato, si rivelavano anch’essi casi di POH. Bisogna dire che questo gruppo di lavoro altro non era che il gruppo di studio della Fibrodisplasia Ossificante Progressiva, malattia con la quale era stata spesso confusa in passato la POH. Questi autori dunque erano riusciti a definire i criteri clinici attraverso i quali poteva essere fatta la diagnosi differenziale tra le due condizioni patologiche, entrambe rare e invalidanti, anche se con gradi diversi di invalidità che sono pienamente giustificati dal fatto di essere malattie diverse.

In realtà descrizioni di malati affetti da questa patologia sono apparse in letteratura sin dal 1892, con difficoltà interpretative e con diagnosi di “Osteosis of the skin”(Sherwell 1892 and Coleman 1894), “Osteoma cutis”(Taylor e MacKenna 1908), “Congenital osteomas of the skin”(Vero, Machacek e Bartlett 1945) o anche senza diagnosi precisa come Edmonds (1948)che parla di “Bone formation in skin and muscle: a localized tissue malformation or Heterotopia”. Successivamente nel 1966 MacLean e collaboratori parlavano di “Connettive tissue Ossification presenting in the skin”, e Lim nel 1981 parla di “Dysplastic cutaneous osteomatosis”, mentre Zasloff nel 1986 e Bartosh nel 1988 parlano di “Limited dermal ossification”.

D’altra parte sicuramente molti casi sono stati diagnosticati come Fibrodisplasia ossificante progressiva o Miosite ossificante primitiva, e non pochi saranno sicuramente quelli che si è cercato di far rientrare in uno Pseudoipoparatiroidismo o in uno Pseudopseudoipoparatiroidismo.

Kaplan e collaboratori lavorando già da anni proprio su pazienti affetti da FOP hanno da questi enucleato i casi poi descritti nel 1994 come POH.

Da una revisione della letteratura antecedente il 1994 si evince che Coleman nel 1894, 100 anni prima, descrisse un caso di “Osteosis” in una bambina di 6 anni, con una placca presente nel tessuto sottocutaneo e nella pelle comparsa a 3 ½ anni di età e coinvolgente un terzo della superficie plantare esterna del piede sinistro e il quarto dito del piede sinistro.

Taylor e i suoi collaboratori osservarono nel 1908 una bambina di 15 mesi con placche di ossificazione negli strati profondi della cute distribuiti sul lato mediale della gamba destra vicino al ginocchio, sul lato esterno della coscia sinistra, all’avambraccio sinistro, sulla faccia anteriore e posteriore del torace e sul cuoio capelluto. L’esame istologico mostrava tessuto osseo senza evidenza di cartilagine.

Nel 1910 Carl escisse una tumefazione dura, piatta, della grandezza di una nocciola dalla nuca di un ragazzo di 22 anni che era apparsa dall’età di 2 anni ed era cresciuta fino a 6 anni e poi era rimasta stazionaria. L’esame istologico aveva mostrato tipiche strutture ossee.

Nel 1911 Strassberg pubblicava delle sue osservazioni su 6 casi di osteomi di cui 5 chiaramente secondari, mentre in un caso non c’era una causa nota ed egli pensò alla possibilità di un origine da cellule embrionali aberranti. Questo osteoma era localizzato alla galea aponevrotica, non era connesso al periostio né alla cute vicina.

Ma la prima vera descrizione di un caso patognomonico di POH con una precisa e particolareggiata descrizione delle lesioni e del loro decorso è stata fatta nel 1945 da Vero e collaboratori che hanno lasciato una mirabile descrizione clinica delle lesioni, del loro decorso e della progressione delle ossificazioni nei tessuti profondi che caratterizzano questa malattia. È mancato loro il coraggio di definire quello, che avevano così ben descritto, come una cosa nuova, non inquadrabile in quanto già descritto fino a quel momento, e, facendosi fuorviare da un articolo di Rosenstirn che nel 1918 aveva descritto la presenza di due piccole spicule ossee nella cute di un soggetto affetto da FOP (probabilmente anche questo caso era una POH!?), concludevano anch’essi che doveva trattarsi di una Miosite Ossificante preceduta da ossificazioni cutanee a tipo Osteoma Cutis congenito.

Un coraggio maggiore dimostrarono Edmonds e coll. quando nel 1948 descrissero un caso di formazioni ossee presenti dalla nascita nella cute e nei muscoli di una bimba, utilizzando per la prima volta il concetto di eterotopia ossea: “a formation of normal tissue at an abnormal site” (“la formazione di un tessuto normale in un posto anomalo – per quel tessuto-“).

Maclean e collaboratori nel 1966 descrissero una madre ed una figlia affetti da ossificazioni eterotopiche diffuse, quest’ultima aveva un ritardo mentale, anche se, secondo l’autore, non sembrava avere una sindrome di Albright clinicamente, ma il lavoro pubblicato non dà notizie circa il livello di paratormone. Alcune ossificazioni materne erano anche profonde interessando muscoli, quelle della figlia no. Questa situazione portava a dire che comunque ci poteva essere una ereditarietà in questo tipo di patologia che era stata in questo caso passata da madre a figlia, ma oggi sappiamo che la POH si trasmette per via paterna e quindi i casi andavano meglio indagati per la presenza di Pseudoipoparatiroidismo o Pseudopseudo-ipoparatiroidismo, almeno nella figlia, mentre la madre poteva essere benissimo una forma moderata di POH.

Interessante comunque la conclusione a cui giungono gli autori, dopo una disamina delle possibili diagnosi, riferendosi soprattutto a quanto Vero e collaboratori avevano concluso per il loro caso: “If the disorder in our patients is fibrodisplasia ossificans progressiva, the spectrum of this disease must be much wider than has been suggested.” (“Se la malattia del nostro paziente è la fibrodisplasia ossificante progressiva, lo spettro di questa patologia deve essere molto più ampio di quanto è stato fino ad ora considerato”). E questo poteva significare una richiesta di coinvolgimento dei cultori della materia a definire questi casi non facilmente inquadrabili, cercando nella loro esperienza le diversità che si presentavano rispetto alla FOP e alla S. di Albright.

Nel 1981 viene riportato un altro caso di “Dysplastic Cutaneous Osteomatosis” da Lim e coll., che descriveva la stessa situazione semeiologica descritta da Vero e coll., con normalità del sistema scheletrico e degli altri organi indagati, esami ematologici normali, anche questa volta purtroppo non era stato dosato il paratormone. Nel commento gli autori ricordano come il tessuto mesenchimale ha la capacità di differenziarsi in tessuto osseo. Anche in questo caso l’osso neoformato non era di origine encondrale, “it appeared that the fibroblasts were undergoing trasformation into osteoblasts” (“sembra che i fibroblasti siano in corso di trasformazione in osteoblasti”), l’unica alterazione ematologica era l’aumentata attività della fosfatasi alcalina. Venivano escluse tra l’altro tutte le malattie collageno vascolari. Concordando con la grande somiglianza con il caso descritto da Vero e coll., gli autori escludevano al momento la diagnosi di FOP, anche se il follow-up era ancora breve, riferendosi appunto al fatto che nel caso di Vero e coll., la FOP sembrava essersi sviluppata successivamente. Per quanto riguarda il trattamento dichiaravano la difficoltà di valutare cosa potesse influire sul decorso della malattia, visto che lo stesso non era noto, come non era nota la patogenesi che restava un enigma, salvo comunque una cosa: “the skin fibroblasts from the affected area seem to be transforming into osteoblasts in vitro!” (“i fibroblasti della cute della regione affetta sembra che stiano trasformandosi in osteoblasti”)