Nel 1985 viene pubblicato un caso (Bonifazi e coll.) diagnosticandolo come Osteoma Cutis primario, dando molta importanza alla apparente scomparsa degli elementi superficiali dopo l’estrusione di materiale amorfo, come era accaduto in tutti i casi precedentemente descritti, ma ponendo poca attenzione ai focolai di ossificazione profonda che nel tempo poi sono andati ben delineandosi, finendo per caratterizzare nella sua pienezza la patologia di cui ci stiamo occupando con tutto quanto di invalidante ne consegue.

Nel 1986 compare sul Journal of Pediatrics un articolo di Zasloff e altri, tra cui anche un collaboratore di Lim, che riprendendo il caso descritto dal Lim nel 1981, e da loro seguito da anni (che tra l’altro sarà successivamente ripubblicato da altri autori almeno altre 2 volte, a sottolineare la ricerca spasmodica di una cura, di un trattamento che possa in qualche modo migliorare la situazione clinica di questi malati!), ed un secondo caso simile giunto nel frattempo alla loro osservazione, riconosce la unicità di questa patologia e la interpreta come “a heretofore unrecognized disorder of mesenchymal differentiation” (“un ulteriore disordine sconosciuto della differenziazione mesenchimale”) e dando a questa patologia il nome di “Limited dermal ossification”, sottolineando, tra l’altro, per la prima volta che il risultato ottenuto da un’asportazione chirurgica delle lesioni era solo temporaneo con successiva recidiva. Anche tentativi fatti con iniezione intralesionale di calcitonina e dieta priva di vit.D non avevano sortito alcun effetto, né modificato la progressione della malattia. Malattia che nella sua progressione aveva portato a deformità scheletriche secondarie come incurvamento e deformità degli arti inferiori e scoliosi. Si confermava anche in questi casi l’assenza di evidenza clinica della sindrome di Albright, ma anche che il paratormone era normale. Un altro fatto nuovo era l’aver notato una certa demineralizzazione delle ossa lunghe nella zona di più estesa ossificazione dermica.

L’istologia mostrava una ossificazione di tipo diretta membranosa, non erano presenti elementi cartilaginei. Altro dato interessante era che il livello di AMP ciclico intracellulare nei fibroblasti cutanei era normale, come normale ne era l’escrezione urinaria dopo infusione endovena di paratormone. Gli autori sottolineavano che “the natural history of the process appears to be characterized by continued local growth and enlargement of the foci of heterotopic bone, with eventual joint limitation and skeletal deformity”. (“la storia naturale del processo appare essere caratterizzata da continui accrescimenti locali e ampliamento dei foci di ossificazione eterotopica, con eventuali limitazioni articolari e deformità scheletriche”)

Si esclude perciò che questi bimbi siano affetti da FOP, AHO o altra patologia nota, salvo il non poter escludere che quella in esame possa essere correlata in qualche modo ad una delle patologie note.

Nelle conclusioni gli autori azzardano una ipotesi di “defect in cell migration during embryogenesis, resulting in the deposition of osteoprogenitor cells in the skin, or the abnormal induction of bone elements from normally organized cells.” (difetto della migrazione cellulare durante l’embriogenesi, risultante nella deposizione di cellule osteoprogenitrici nella cute, o una anomala induzione di cellule ossee da normali cellule organizzate”) Ma anche vanno considerate, bontà loro, mutazioni somatiche!

Nel 1988 una ulteriore novità appare in una pubblicazione a cura di Gardner e coll., essi infatti descrivono una famiglia in cui in 2 generazioni c’erano almeno 7 individui coinvolti, uno in maniera molto severa, portando alla definizione di trasmissione autosomica dominante della patologia. In realtà nel tempo lo studio di questa famiglia darà notizie ancora più interessanti di quanto ne abbia potuto dare al momento di questa prima pubblicazione. Infatti nel frattempo quelli affetti da ossificazioni ectopiche diventeranno nove, tutti con una mutazione genetica, di cui era portatore anche il capostipite senza avere però alcuna evidenza clinica, e mentre la terza generazione, tutta frutto di figlie femmine, sarà trovata successivamente affetta da sindrome di Albright, la seconda generazione invece affetta da POH ereditata per via paterna.

Si arriva così al 1994, quando Kaplan assieme ai già citati Gardner e Zasloff e ad altri pubblica un articolo sul The Journal of Bone and Joint Surgery dal titolo “Progressive Osseous heteroplasia: a distinct developmental disorder of heterotopic ossification”, (“Eteroplasia Ossea Progressiva: un distinto disordine dello sviluppo dell’ossificazione eterotopica”) nel quale si sottolinea la diversità di quanto viene descritto (in due nuovi casi e tre follow-up di casi già pubblicati e la cui diagnosi veniva ora rivista) dalle patologie già note, si evidenziano le differenze esistenti con la FOP e l’AHO, e infine si propugna il termine di POH per questa “unique constellation of clinical, pathological, and roentgen-graphic features that …. justifies its consideration as a distinct developmental disorder of heterotopic ossification”. (Costellazione unica di caratteristiche cliniche, patologiche e radiologiche che… giustificano il considerarla come un disordine distinto dello sviluppo dell’ossificazione eterotopica”)

Nell’ottobre del 1995 viene istituito il POH Collaborative Research Project dai dottori Frederick S. Kaplan, Eileen M. Shore e Michael A. Zasloff della Scuola Medica dell’Università della Pennsylvania e comincia così la grande sfida a questa strana malattia. Vennero chiamati a questo sforzo medici, scienziati e ricercatori internazionali, anche europei e australiani, con l’intento di trovare la causa e stabilire un trattamento per la POH.

Sempre nel 1995 viene fondata, ad opera di alcuni familiari di pazienti affetti, anche una Associazione no profit negli Stati Uniti, la Progressive Osseous Heteroplasia Association (POHA), per la promozione della ricerca sulla POH, che è riuscita a garantire fino ad ora un supporto annuale di 50.000,00 $.

All’inizio questa patologia sembrava potersi differenziare in almeno due forme in qualche modo distinte, il Tipo I POH non associata ad alcun problema ormonale, ed un’altra, Tipo II POH, associata con l’Osteodistrofia ereditaria di Albright.

Per quanto riguarda il I tipo, la patologia sembrava essere ereditata in maniera autosomica dominante, alcuni familiari affetti avevano forme moderate, altri invece molto severe, e questo ampio spettro di severità veniva interpretata o come variabilità di espressività di un singolo gene danneggiato, o dovuta a un’altra mutazione del gene sul secondo allele, o all’intervento del background genetico.

Nel II tipo di POH, associato all’AHO, i pazienti avevano un spettro variabile di problemi ormonali e una forma più severa di ossificazione eterotopica rispetto a quanto succedeva di solito nella AHO.

In quel momento erano note tre famiglie affette da POH di I tipo e due da POH di II tipo, più una dozzina di casi sporadici, in totale, in tutto il mondo, erano stati diagnosticati 25 individui.

Nel report annuale del POH Collaborative Research Project del 2005 viene riportato che i casi diagnosticati nel mondo sono nel frattempo diventati 60, e che gli studi di questi ultimi anni che hanno identificato un gene mutato in molti pazienti affetti da POH, hanno indicato che i classici aspetti clinici della POH formano “the estreme end of a spectrum of genetically related conditions” (“il termine estremo di uno spettro di condizioni geneticamente correlate”).